Fondazione Antonio Ratti

Nero su Bianco: note per un’ecologia del rapporto tra arti, cultura e società – La Kunsthalle più bella del mondo

CONFERENZA
12 Gennaio 2011
FAR – Villa Sucota

Guarda su Vimeo Parte I, Parte II, Parte III

Nel 2011 in Italia si sono susseguiti pronunciamenti e denunce contro i tagli imposti ai settori culturali da parte delle autorità finanziarie pubbliche. Sono scesi in campo i principali attori delle istituzioni culturali: direttori di musei, di orchestre, di teatri, scrittori, addetti di settore, tutti uniti nel tentativo di mostrare come il livello delle riduzioni imposte non possa che essere fatale per la cultura del paese nelle sue possibilità produttive future, con ripercussioni difficili da calcolare ed immaginare.

Si avvertiva allora il bisogno e l'urgenza crescente di condividere interpretazioni chiare intorno al tema delle politiche e delle produzioni culturali, conoscenze basate su evidenze incontrovertibili, che potessero orientare il dibattito tecnico e politico, senza disperdere altro tempo e altre energie. Questo bisogno è ed era ancora più vivo se la disponibilità della spesa pubblica non è frutto di una contingenza, ma piuttosto il segnale di un duraturo riallineamento della natura dell'intervento pubblico. In questo caso il problema delle politiche culturali si fondeva nel ripensamento dei modi in cui l'arte e la cultura - e quindi
l'educazione del pensiero , dell'etica e della sensibilità - istituiti nella nostra contemporaneità. In un certo senso si potrebbe dire che si trattava di una bella condizione in cui urgeva il cambiamento.

L'obiettivo di questo incontro è stato quello di chiamare a raccolta conoscenze, dati e verità di fatto in modo da mettere a disposizione le evidenze per quanto possibile non controvertibili, distinguendole dalle questioni sulle quali esistevano ancora ampi elementi di incertezza e che richiedevano quindi ulteriore ricerca e pensiero. Nel proporre questo esercizio ci si rendeva conto di rischiare la banalità, il qualunquismo generico e l'ingenuità metodologica. Il programma privilegiava i fatti duri, empirici, contabili, in un certo senso auto evidenti rispetto a punti di vista più teoricamente sofisticati. Convinti che questo esercizio critico - pur con i suoi limiti - potesse essere antidoto alla condizione in cui ogni tesi è sostenuta retoricamente e astrattamente, talvolta con superficiale buonafede, talvolta nel disprezzo dell'evidenza e del buon senso. Ovviamentequesto il percorso, così come il suo semplice inizio, non poveva essere compiuto da un solo ricercatore o da un solo gruppo. Si trattava di un'impresa da compiersi collettivamente, con la collaborazione dei nuclei di ricerca.

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